Con il termine “esterovestizione” si definisce la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero (o persona fisica), in particolare, in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente di sottrarsi al più gravoso regime nazionale – un concetto complesso che andremo a spiegare in un modo semplice.
In questo contributo andremo ad analizzare il concetto di esterovestizione delle società, indicando quali sono le principali contestazioni che potrebbe rilevare l’Amministrazione finanziaria in caso di controlli, e quali possono essere gli strumenti difensivi a disposizione della società, per questo tipo di accertamenti.
Problematica importante, specialmente per imprenditori (o persone fisiche) italiani che decidono di delocalizzare o avviare un’attività in Slovenia, fiscalmente molto più allettante rispetto all’Italia, in più vicina di casa, il che permette di seguire l’attività avviata da “casa”. Un argomento importantissimo che si tende a sottovalutare e che tante volte non viene presentato al diretto interessato in un modo professionale da parte dei professionisti che danno consulenza aziendale, anche perché per lo Stato dove si va a delocalizzare non presenta un problema.
Poiché vogliamo che in nostri clienti abbiano tutte le informazioni dovute e siano al corrente delle possibili conseguenze prima di fare passi importanti, dedichiamo questo articolo alla problematica di aziende esterovestite.
La residenza fiscale delle società rappresenta un tema di stringente attualità. Negli ultimi anni molte imprese hanno cercato di stabilire la propria residenza o di localizzare una struttura societaria in un Paese (Slovenia) a fiscalità privilegiata anziché in Italia. Il concetto di esterovestizione è strettamente correlato a quello di residenza. Difatti, è esterovestito quel soggetto che, pur avendo la residenza (nel caso di persona fisica) o la sede (nel caso si tratti di ente o di società) formale all’estero, continua a “controllare” il tutto dal suolo italiano e deve per tanto considerarsi fiscalmente residente nel territorio dello Stato italiano.
Il principio della residenza assume particolare criticità nella concreta applicazione. Il problema della corretta individuazione della residenza fiscale, infatti, può porsi non solo per le società holding di gestione di partecipazioni (nella classica configurazione strutturale che prevede soggetti esteri, controllati da soggetti italiani, che, a loro volta, controllano soggetti italiani), ma anche con riferimento a società commerciali ed industriali localizzate all’estero.
Parliamo di fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia. Lo scopo della localizzazione, tipicamente in un Paese con un regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale, è fare in modo che gli utili siano sottoposti a una minore tassazione. Di solito i redditi esterovestiti sono le plusvalenze di cessioni di partecipazioni. Ovvero, con esterovestizione si intende il fenomeno col quale un soggetto d’imposta sostanzialmente italiano acquisisce formalmente la residenza estera al fine di non essere assoggettato a tassazione in Italia.
In sostanza, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria, quelle società o quegli enti che, pur avendo la sede legale o amministrativa all’estero, detengono direttamente partecipazioni di controllo in una società di capitali o altro ente commerciale residente in Italia e, allo stesso tempo, sono assoggettati al controllo, anche indiretto, da parte di soggetti residenti nel territorio dello stato italiano oppure presentano un organo di gestione composto prevalentemente da amministratori residenti in Italia.
L’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ha contestato la suddetta normativa in materia di esterovestizione ritenendo la stessa contraria alle norme comunitarie: secondo l’Associazione la normativa provocherebbe, infatti, una restrizione della libertà di stabilimento che, di fatto, potrebbe vincolare le scelte economiche degli operatori nel senso che potrebbe indurre gli stessi a rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una consociata in un altro stato membro.
Si evince quindi che si necessita di una stabile organizzazione* della società oltre ad una sede legale all’estero, discorso che andremo ad analizzare autonomamente più avanti, sebbene potremmo parlare unicamente del concetto di “place of effective management”, criterio elaborato nel modello di convenzione OCSE per la risoluzione dei conflitti di residenza delle persone giuridiche. Questo criterio è stato recepito in Italia come la sede della direzione effettiva, in linea con il significato del termine “management”, che afferisce per l’appunto alla direzione o gestione o governo effettivo di una struttura societaria.
Ciò che è sempre sconsigliabile, in ogni caso, è l’invio di corrispondenza (fax, mail, ecc.) dall’Italia con riferimento alla gestione e all’attività amministrativa, commerciale e finanziaria, della società estera. Come noto le contestazioni di esterovestizione, a prescindere dall’applicazione della presunzione, nascono molto spesso a seguito di un accesso o verifica nei confronti della società italiana nel cui bilancio è iscritta la partecipazione estera da cui consegue l’acquisizione della corrispondenza e/o della eventuale contrattualistica in essere con la società estera.*Per Stabile Organizzazione (S.O.) si intende una sede fissa di affari per mezzo della quale un’impresa esercita in tutto o in parte la propria attività sul territorio di un altro stato.